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Diga del Gleno

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Premessa

La diga del Gleno non ha bisogno di presentazioni. Su di essa e sul disastro del 1° dicembre 1923 è stato scritto e pubblicato molto: si conosce il progetto, la storia della sua costruzione, le fotografie d’epoca dei lavori in corso e i verbali delle testimonianze del tragico evento che ha colpito la Val di Scalve e la Valcamonica. Presso la facoltà di ingegneria dell’università degli studi di Brescia è stato ricostruito, dal punto di vista idraulico, anche il processo di formazione e propagazione della piena che si verificò a seguito del crollo. Venerdì 26 settembre 2014 è stato presentato anche il film, autoctono e autoprodotto, “Gleno, all’inferno non c’è solo il fuoco”, ispirato all’omonimo romanzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nonostante si possa considerare come uno dei più gravi disastri accaduti in Italia, si ha però l’impressione che questa tragedia sia vivo ricordo solo dalla gente del luogo. REVERSE, presentando la sua esperienza di rilievo ambientale con laserscanner, vuole rispolverare il drammatico evento, con la convinzione che certi fatti, ormai archiviati come storia, possano ancora oggi portare preziosi insegnamenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La storia della diga del Gleno

Il monte Gleno è una cima delle alpi Orobie, ottava in ordine di altezza fra le  vette della provincia di Bergamo. Con i suoi 2883 metri la montagna separa l’alta Val Seriana dalla Val di Scalve e dispone di flussi di acqua tali da aver giustificato, a suo tempo, la costruzione di una diga lungo il versante sud del monte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I lavori di  sbarramento del torrente Povo, nella vallata a monte di Bueggio di Vilminore di Scalve (BG), cominciarono nel 1921 e, finanziati da imprenditori privati, furono sostanzialmente ultimati nell’estate del 1923. L’opera, che si trova a circa 1500 m slm, fu progettata ed iniziata con il sistema a gravità, ma venne completata con una struttura ad archi multipli che determinò un bacino artificiale di capacità pari a circa 4.5 milioni di metri cubi.

 

 

           

 

Con l’invaso in condizioni di totale riempimento, la mattina del 1° dicembre 1923, la diga crollò e un’enorme massa di acqua riempì il corso del fiume Dezzo.

L’onda colpì i vari abitati dislocati lungo il  percorso che conduce in fondovalle, travolgendo furiosamente case, stabilimenti, edifici pubblici, ponti e strade fino a raggiungere, con un forte dislivello lungo la “Via Mala”, l’abitato di Darfo in Valcamonica e quindi Lovere e Pisogne sulle sponde del Lago d’Iseo.

Molte frazioni rimasero isolate e il bilancio fu gravissimo, paragonabile oggi solamente al disastro del Vajont che distrusse Longarone nel 1963.

 

                   

 

                

 

Data l’ora in cui si verificò l’evento e la totale assenza di preavviso per la dinamica istantanea e puntuale del crollo molti abitanti rimasero travolti dalla massa d’acqua e le vittime furono più di cinquecento.

La causa della tragedia non è ancora chiara, ma è da ricercare in una sommatoria di errori commessi nella progettazione e nella realizzazione dell’opera. A prescindere dalla causa ultima scatenante, tutti gli esperti condividono un’unica certezza: la diga, appena realizzata, era già debole perché costruita male.

Per questo la tragedia ha segnato e portato alla costituzione dell’attuale Registro Italiano Dighe, organismo preposto alla vigilanza nei confronti della corretta realizzazione,  gestione e manutenzione degli invasi di capacità importante.

 

Il rilievo

Il rilievo, di iniziativa REVERSE – Studio tecnico Mariotti, nasce dall’idea di raccogliere tutti quei dati geometrici che possano descrivere dettagliatamente la diga e il bacino. Il tutto come base che consenta, in un secondo momento, la progettazione di un eventuale percorso in sito di fruizione ambientale e di memoria storica degli eventi, superando il concetto di semplice bacheca espositiva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il rilevo ha permesso quindi di ricostruire sia l’architettura della diga ad archi multipli che la componente ambientale dell’invaso retrostante. Per fare questo sono state eseguite attorno alla diga 31 scansioni collocate ed allineate con target a scacchiera. Per l’invaso invece, sfruttando l’ampio raggio d’azione del laserscanner, sono state eseguite 9 scansioni laser che, distanti all’interno del bacino, sono state allineate collimando i target con stazione totale topografica. Nelle immagini sottostanti è possibile vedere varie anteprime della nuvola di punti realizzata unendo tutte le scansioni.

 

 

      

 

 

Oltre a ricostruire lo sbarramento, è stato possibile ridisegnare l’invaso. Nell’immagine sottostante la mappa di colori consente di leggere la profondità del lago artificiale realizzato nel 1923. In rosso i punti in quota allo sfioratore, ovvero il pelo libero dell’acqua a diga ultimata, in blu i punti più profondi. Com’è noto ne risulta una capacità di circa 4,5 milioni di metri cubi, che non è possibile confermare con certezza in quanto non è stato eseguito il rilievo batimetrico del laghetto esistente.

 

 

 

 

Riflessioni finali

I dati raccolti durante il rilievo 3D della diga del Gleno consentono, oltre alla ricostruzione dettagliata dell’ambiente, di svolgere molteplici indagini. Da sottolineare che grazie alla velocità del laserscanner la campagna di misurazione è durata una sola (intensa) giornata.

L’esperienza, oltre che dalla ragione di memoria storica, è stata ispirata da motivazioni del tutto attuali. Il territorio italiano soprattutto in area di pianura, ma anche in zona pedemontana e nei fondovalle è caratterizzato da una forte urbanizzazione. Molte vallate presentano infatti insediamenti estesi in un contesto sostanzialmente montano, ovvero con caratteristiche orografiche di elevata pericolosità di origine idrogeologica. Ciò si riscontra anche nelle valli delle provincie di Bergamo e Brescia: in questi contesti il rischio idraulico, soprattutto combinando l’elevata pericolosità con la notevole esposizione, diviene altissimo.

In Vallecamonica ad esempio, sempre negli anni in cui avvenne il disastro del Gleno, si è formato attorno al massiccio dell’Adamello uno dei maggiori sistemi di invasi a destinazione idroelettrica, ma con volumi ben superiori al piccolo bacino del Gleno.

REVERSE, per le ragioni sopra esposte, propone il rilevo3D con laser scanner integrativo alla topografia tradizionale come strumento di indagine che consenta da un lato di individuare metodologie che siano applicabili in via preventiva a queste catastrofi e dall’altro, di monitorare eventuali anomalie di queste importanti infrastrutture.

 

 

 

 

 

 

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